Avv. Pierpaolo Carbone
Si definiscono “opere orfane” quelle non cadute in regime di pubblico dominio, presumibilmente ancora protette dal diritto d’autore in cui, però, l’autore (o i suoi eredi) non è individuato o, se individuato, non è rintracciato. Mutuando il lessico dei filologi classici di scuola crociana, si potrebbero dire anche opere adespote, ossia pervenute senza il nome dell’autore.
Tipico è il caso dell’acquisizione, da parte di un archivio, di una collezione privata di opere non precedentemente catalogate e, pertanto, prive dei dati relativi agli autori delle opere che la compongono; ovvero il caso dell’opera, il cui autore sia noto, ma non sia più possibile ricostruire la catena delle successive cessioni dei diritti sull’opera stessa, ad esempio perché l’autore è deceduto e non si riesce a determinare l’asse ereditario, oppure perché il titolare (si pensi ad esempio ad un produttore cinematografico) abbia cessato la sua attività e non è dato sapere se e a chi abbia ceduto i propri diritti sull’opera.
Al fine di evitare che i rischi derivanti da uno sfruttamento non autorizzato di tali opere le relegasse in una sorta di limbo della non-conoscenza, impedendone di fatto la fruizione pubblica, il legislatore europeo, con la Direttiva 2012/28/UE, ha introdotto un’eccezione ai tradizionali principi del diritto d’autore ammettendo, per le “opere orfane”, la possibilità di essere riprodotte e divulgate, in determinati ambiti, a prescindere dal consenso dei titolari delle medesime.
L’input riformatore risale in realtà al 2006, quando una raccomandazione della Commissione europea (2006/585/CE) aveva prospettato un miglioramento delle condizioni per la digitalizzazione del materiale culturale con la creazione di meccanismi che facilitassero l’accesso alle “opere orfane”.
Ed è proprio nel più ampio quadro della digitalizzazione del patrimonio culturale europeo che gli sforzi del legislatore si sono concentrati, per consentire la digitalizzazione di “opere orfane” senza necessariamente richiedere il consenso dell’autore, non individuato o non reperibile.
In Italia, la Direttiva 2012/28/UE è stata attuata con il Decreto legislativo n. 163 del 10 novembre 2014, che ha aggiunto, nella legge sul diritto d’autore, gli articoli dal 69 bis al 69 septies, riconoscendo a biblioteche, istituti di istruzione, musei accessibili al pubblico, archivi, gli istituti per il patrimonio cinematografico o sonoro ed emittenti di servizio pubblico la facoltà di utilizzare le “opere orfane” pubblicate sotto varie forme (libri, riviste, quotidiani, rotocalchi, opere cinematografiche o audiovisive e fonogrammi), presenti nelle proprie collezioni, al fine di conseguire gli obiettivi connessi alla loro missione di interesse pubblico.
La delimitazione, pertanto, è duplice, in quanto caratterizzata non solo dalla tipologia di soggetto (rigorosamente “pubblico”) ammesso all’utilizzazione delle “opere orfane”, ma anche dalla finalità perseguita, potendo il beneficiario conservare, restaurare e mantenere a disposizione del pubblico le opere e i fonogrammi contenuti nella propria collezione esclusivamente per “fini culturali e formativi” (20° considerando della Direttiva cit.). Lo svolgimento della specifica mission di interesse pubblico condiziona, dunque, l’ambito della libera utilizzazione delle “opere orfane”.
Il principio ispiratore della normativa sulle “opere orfane” è infatti quello di migliorare la fruizione del patrimonio culturale comune, incentivando la digitalizzazione, la catalogazione e la diffusione (anche via internet) di contenuti protetti da diritto d’autore o da diritti connessi, il cui titolare dei diritti risulti ignoto.
Prima che un’opera o un fonogramma si possano considerare “orfane”, gli enti e le istituzioni culturali destinatarie dell’addenda introdotta dal D.Lgs. n. 163/2014 sono chiamati a svolgere una ricerca diligente per indentificare eventuali titolari dei diritti, consultando fonti di informazione appropriate per singole categorie di opere come il Registro Pubblico Generale delle Opere Protette, istituito presso il MIBACT, il deposito legale, le banche dati delle società di gestione collettiva e le altre banche dati e i sistemi che ne consentono l’interrogazione integrata (ad es., ARROW).
Più nel dettaglio, l’art. 69 septies della legge sul diritto d’autore elenca le fonti di informazione, distinguendole in base al tipo di opera e specifica che occorre consultare: a) per i libri pubblicati, anche il Sistema Bibliotecario Nazionale, inclusi i registri d’autorità per gli autori;
- b) per i quotidiani e le riviste, l’ISSN, gli indici e i cataloghi di raccolte storiche e collezioni di biblioteche;
- c) per le opere audiovisive e i fonogrammi, le associazioni italiane dei produttori e l’elenco di quanti hanno partecipato alla realizzazione dell’opera stessa.
La ricerca dell’autore e il processo di consultazione delle fonti, oltre a dover essere svolti con diligenza, devono essere eseguiti secondo i principi di buona fede e correttezza professionale, sforzandosi di pervenire ad un’attribuzione certa.
Un’opera, infatti, sarà considerata “orfana” soltanto se, al termine della ricerca diligente, nessuno dei titolari dei diritti sia stato individuato oppure, anche se individuato, non sia stato rintracciato.
Al fine di evitare una duplicazione delle ricerche, è prevista la formazione di una banca dati online pubblicamente accessibile, gestita dall’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno – l’ufficio che si occupa anche della registrazione dei marchi e disegni comunitari – ove sono inseriti: gli esiti delle ricerche diligenti, che hanno permesso di concludere che un’opera è orfana; l’utilizzo che le organizzazioni fanno delle “opere orfane”; qualsiasi modifica dello status di opera orfana; le informazioni di contatto dell’organizzazione interessata.
Naturalmente, se dopo l’utilizzazione delle “opere orfane” dovesse accertarsi l’identità del titolare dei diritti, può cessare lo status di “opera orfana” e al titolare spetterà un equo compenso.
D’altra parte, le utilizzazioni in corso di “opere orfane” non potranno proseguire senza il consenso del titolare dei diritti riapparso, il quale potrebbe inibirne l’uso a terzi non (più) autorizzati.
Per la determinazione concreta del compenso si fa riferimento agli accordi intervenuti fra le associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei titolari dei diritti e le istituzioni beneficiarie dell’eccezione in esame, che devono tener conto degli obiettivi di promozione culturale correlati all’uso effettuato dell’opera (in termini di sua valorizzazione), della natura non commerciale dell’uso fatto dai beneficiari dell’eccezione in connessione alla loro missione di interesse pubblico, e dell’eventuale danno arrecato al titolare dei diritti.
Laddove non sia intervenuto alcun accordo, è esperibile il tentativo di conciliazione (di cui all’art. 194 bis LDA) per fissare la misura dell’equo compenso. In difetto di accordo, rimane la possibilità di adire la competente autorità giudiziaria.
Indubbiamente, il complesso procedimento di “adozione” delineato dall’addenda del 2014 ha contribuito a superare l’impasse legato alle “opere orfane”, traducendosi in un vantaggio dell’intera collettività, che in questo modo ha avuto accesso ad un importante patrimonio culturale, fino a quel momento inesplorato o bloccato nell’incertezza del diritto presso le collezioni di biblioteche, musei e altri enti pubblici.
Ciò non di meno, però, la delimitazione normativa dei soggetti beneficiari (con la conseguente esclusione di utilizzi anche da parte dei privati, spesso partner delle istituzioni culturali nei progetti di digitalizzazione) – imposta dalla necessità di rispettare la regola del cd. three-step test, sancita dalla Convenzione d’Unione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche e, quindi, la specialità delle eccezioni al diritto d’autore – suscita qualche perplessità.
Infatti, se è vero che le utilizzazioni commerciali (a scopo di lucro) da parte di persone private o enti diversi dalle istituzioni culturali comporterebbero un uso di più vasta portata, non più circoscritto alla sola promozione culturale, esponendo l’autore o il titolare di diritti ricomparso ad un pregiudizio patrimoniale maggiore, è altrettanto vero che l’aperura ai capitali privati (de iure condendo) consentirebbe di accelerare sensibilmente i processi di digitalizzazione di massa, agevolando la rapida divulgazione transfrontaliera della cultura, non solo italiana.
L’articolo: L’adozione delle “opere orfane” è dell’Avv. Pierpaolo Carbone