La fenomenologia del Diritto dei Beni Culturali è talmente multiforme da rasentare, a volte, l’autentica bizzarria.
Finora, il diritto di riproduzione di un’opera d’arte era stato ravvisato nella sua moltiplicazione avvenuta senza il consenso dell’autore e la casistica portava sempre, come esempio, l’ipotesi della fotografia di un dipinto, di una scultura, di un’altra qualsiasi opera figurativa, come le contemporanee “installazioni”.
Peraltro, anche le opere fotografiche sono tutelate, perché, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, si ritiene che il grande fotografo “interpreti il reale” e non si limiti a recepirlo passivamente.
Un ritratto di Nadar è senz’altro una introspezione del personaggio di ben altra valenza rispetto alla sua mera immagine, come nelle foto formato tessera, usate per i documenti ufficiali. E la fotografia si è andata raffinando, divenendo un’autentica musa e superando l’idea originaria che rispetto ad essa non si possa parlare di vera e propria creatività o che la valutazione sociale consideri limitato l’apporto dato dalla fotografia alla cultura.
Pertanto, l’art. 2 della Legge 633/41, inserendo le fotografie o le immagini ottenute con procedimento analogo (ad esempio, i dagherrotipi, inventati dall’artista francese Louis Daguerre, 1787-1851) come opere normativamente protette… [pdf]