Villa Zeri in vendita al miglior offerente
VILLA ZERI IN VENDITA AL MIGLIOR OFFERENTE
di Fabrizio Lemme
“Anche le cose hanno le loro lacrime”: questa bellissima espressione è inserita nel I Libro dell’Eneide, verso 462, (sunt lacrimae rerum) ed è divenuta una massima universale.
Essa mi è tornata in mente quando, ne “La Repubblica” del 5 gennaio, nella pagina della “Cultura”, ho letto un elzeviro di Tommaso Montanari che recava l’eloquente titolo “AAA Vendesi Villa Museo di Federico Zeri no perditempo”.
In esso, lo storico dell’arte affermava (e purtroppo la notizia non ha avuto smentita) che sul sito “Invest in Italy Real Estate” era uscita un’inserzione pubblicitaria: si comunicava che veniva venduto, come immobile non strategico appartenente ad un ente pubblico (l’Università di Bologna), la Villa Zeri di Mentana, con tutto il suo straordinario corredo di epigrafi e frammenti antichi incastonati nelle mura perimetrali, il suo roseto, la sua vigna. Prezzo base, € 2.400.000,00: tanto se si considera il difficile accesso e l’inalienabilità del patrimonio archeologico ad essa collegato; poco, quasi nulla se si considera l’importanza, anche come documento di cultura, della struttura ove è vissuto uno dei massimi storici dell’arte del secolo XX, che vi ha raccolto la sua Biblioteca di circa 100.000 volumi e la sua Fototeca di quasi 300.000 fotografie.
La notizia ha avuto conferma anche su questo giornale, nel numero di gennaio 2018.
Federico Zeri è morto nell’ottobre del 1998, dunque, quasi vent’anni fa.
Come è potuto accadere tutto questo?
È una storia tutta italiana, che val la pena narrare.
Neppure una settimana prima di morire, Federico – che appariva al momento in ottima salute – mi chiamò telefonicamente (rammento che era un sabato) e mi anticipò che sarebbe morto di lì a pochi giorni: aveva avuto una infausta premonizione e voleva urgentemente disporre delle sue cose. Mi chiese quindi di fornirgli il nome di un notaio ed io, dopo avere scherzato con il mio interlocutore su presagi e premonizioni (cui, forse a torto, non credevo, come ogni persona razionale), scelsi quello reputato il migliore di Roma, fra l’altro mio caro amico, che si recò da lui il lunedì successivo.
Il tema della successione era stato affrontato infinite volte con Federico e non sapevo neppure quali fossero i suoi definitivi approdi.
Comunque, mi astenni dal recarmi a Mentana, ove il testamento sarebbe stato dettato al notaio: Federico mi aveva precedentemente assicurato di lasciarmi in legato due splendidi dipinti del Baciccio (i bozzetti per i peducci della Cupola di Sant’Agnese in Agone, già appartenuti al Cardinale Fesch, zio di Napoleone) e ritenevo inopportuno presenziare, per dare a lui la più ampia libertà di confermare o meno questa anticipazione testamentaria.
Federico aveva avuto, negli ultimi tempi della sua esistenza, molti contatti con l’Università di Bologna ed aveva ricevuto l’assicurazione di questa, nel caso fosse stata onorata da un legato del grande maestro, di istituire in Mentana una fondazione che avesse ivi gestito il suo patrimonio fotografico e librario.
Coerentemente con queste assicurazioni, Federico legò all’Università di Bologna la Villa di Mentana (con esplicita menzione di tutte le epigrafi ed iscrizioni che la ornavano ed avevano, nella visione del testatore, autonomo significato ed autonomo valore); la sua Biblioteca d’arte, la sua Fototeca.
Egli peraltro si astenne dal dettare al Notaio una clausola che gli avrebbe garantito il vincolo di destinazione da lui ritenuto implicito: vale a dire, una modalità del legato (artt. 647-648 c.c.), che avrebbe consentito al suo erede universale, l’unico nipote Dott. Eugenio Malgeri, figlio della sorella Nunzia, di risolvere il lascito testamentario nel caso l’onere fosse restato inadempiuto.
Qualcosa di simile a quanto avevamo fatto mia moglie ed io, pochi mesi prima, donando 27 dipinti alla Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini, con il vincolo della permanente esposizione.
Federico si fidava, diversamente da noi (mia moglie ed io), entrambi avvocati e quindi diffidenti per professione.
I fatti successivi hanno peraltro dato ragione a noi, perché, quando la direzione della Galleria Nazionale aveva, senza preavviso, chiuso al pubblico la Sala Lemme, si è potuto agire in giudizio ed imporne la riapertura; oggi, viceversa, che l’Università di Bologna tradisce non solo le sue promesse ma anche le aspettative legate ad un’istituzione di cultura, non è dato alcun rimedio giudiziario e la Villa Zeri sarà ineluttabilmente venduta, magari con una gara al ribasso, che premierà ancora di più chi ne diverrà proprietario.
Il tradimento colpisce ancora di più se pensiamo che l’Università di Bologna è nota come “Alma Mater Studiorum”, per essere la prima struttura universitaria d’Europa, fondata nel 1088 per volontà di un Docente di Diritto di nome Irnerio e dell’Imperatore Enrico IV.
Eugenio Malgeri, l’erede universale, peraltro non si è arreso.
Ha preso contatto con un Collegio Universitario (Villa Nazareth), gestito dalla Fondazione Comunità Domenico Tardini Onlus ed ha pensato, con il consenso di questa, ad un comodato “ad longum tempus” che avesse consentito la trasformazione della Villa di Mentana in un centro in grado di ospitare una trentina di studenti, pienamente meritevoli ma privi di risorse economiche.
Non era quello che Federico aveva immaginato ma comunque era pur sempre una destinazione culturale della Villa Zeri, che ne avrebbe consentito una dignitosa e meritevolissima sopravvivenza.
Ha scritto quindi all’Università, sottoponendogli la sua idea, sicuro essa sarebbe stata entusiasticamente accolta: per un ateneo come quello felsineo la somma di € 2.400.000,00 è assolutamente insignificante e quindi si poteva pensare che l’incasso sarebbe stato sacrificato in nome del rispetto della memoria di un personaggio straordinario, quale è stato Federico.
Solo per completezza di esposizione, rammento che l’anticipazione del legato, manifestata nei miei confronti, è stata confermata con un lascito a mio favore dei due dipinti di Baciccio: unico soggetto privato ad essere onorato, nel testamento, accanto ad importanti istituzioni culturali, italiane e straniere.
Come vorrei sottolineare che lo studioso aveva certamente doti ultraumane, confermate dalla sua stessa premonizione: non potrò mai dimenticare la velocità supersonica con la quale attribuiva opere di antichi maestri, agli occhi allibiti della Direttrice del Museo Campana di Avignone, una mattina di domenica, durante una delle visite che quasi sempre gli facevo, nel giorno di festa settimanale.
Sono passati due mesi da quando Eugenio ha scritto e, ad oggi (12 marzo), neppure un cenno di risposta: neppure uno “stiamo esaminando”, che è atto dovuto, non solo sul piano giuridico ma anche su quello strettamente umano che si chiama “educazione”.
Ha ragione allora Beppe Grillo che in Italia è possibile solo il “vaffaday”?
Purtroppo (e lo diciamo con vero rincrescimento), non sono solo i risultati elettorali a dargli ragione!
FL/Articoli/Il Giornale dell’arte/Il Giornale dell’Arte – Aprile 2018