A CLAUDIO STRINATI, CHE HA APPENA COMPIUTO SETTANT’ANNI
Pietro Di Loreto, curando una recentissima (ottobre 2018) pubblicazione nella quale sono raccolti gli scritti di storia dell’arte, di musicologia, di letteratura e di storia in onore di Claudio Strinati (Edizioni “Et Graphiae”), ha dato ad essa un titolo illuminante: “L’arte di vivere l’arte”.
Questo significa che Claudio, come dicono i francesi, sia un “bon vivant”?
Lo escludo: infatti, se anche tale circostanza corrispondesse al vero, “non penso tuttavia che sia decenza spiattellarla”, come dice Amleto a Polonio nel II Atto della tragedia shakespeariana.
“Arte di vivere l’arte”, per il personaggio Claudio, è la capacità straordinaria, da lui sempre alimentata e nutrita, di fare dell’arte il motore della sua vita.
Rammento quando, oltre quarant’anni orsono, insieme ad Italo Faldi, mi recai per la prima volta a casa sua, per una cena.
L’abitazione di Claudio e di Anna era letteralmente tappezzata di libri; sopra i libri erano attaccati dei quadri; accanto ai libri, vi erano dischi e nastri, “circa seimila”, mi venne confidato.
E il nostro dialogo fu quasi interamente dedicato all’arte: figurativa, musicale, letteraria, storica.
Claudio mi parve un personaggio che rimandava a taluni grandi del passato: peraltro, non pedanteschi, come Lodovico Antonio Muratori (che tuttavia coniò una massima da comunicare: “non il riposo ma il mutar fatica – alla fatica sia solo ristoro”) ma agili, divertenti, come lo sono coloro che la cultura hanno assorbito assimilandola, facendola propria e non appiccicaticcia sovrastruttura. In altre parole, un rimando al grande ed insuperato personaggio di Voltaire, che fu letterato, poeta tragico, poeta elegiaco, romanziere, storico, filosofo.
E rammento che proprio nell’occasione del nostro primo incontro, Claudio si produsse nella parodia di un noto personaggio della storia dell’arte che, con una sigaretta tra le mani (da cui cadeva per terra la cenere) lo esortava ad emergere con un romanesco “datte da fa”!
Non saprei dire se, in occasione di tale primo incontro, egli mi parve un musicologo prestato all’arte figurativa od un cultore dell’arte figurativa prestato alla musicologia.
In entrambe le discipline, infatti, la sua conoscenza era profonda al punto che lo si potrebbe definire “un biprofessionale”.
Non per nulla, laureatosi in Storia dell’Arte a soli 22 anni, prima di approdare all’Amministrazione dei Beni Culturali (1974), egli aveva insegnato nel Conservatorio di Musica di Frosinone.
E nell’Amministrazione dei Beni Culturali egli ha percorso una luminosa carriera: per ben 18 anni è stato il Soprintendente al Polo Museale Romano, prima della promozione a Direttore Generale della stessa Amministrazione, nel 2009.
Promozione, invero, andata storta a Claudio: una sorta di “promoveatur ut amoveatur”, attraverso la quale si espresse un personaggio discutibile e vile, che era stato assunto a Ministro dei Beni Culturali solo perché uomo di cultura in quanto ….. scriveva poesie.
Poesie elementari, come ne scrive qualsiasi bambino ma prodotto di alta letteratura agli occhi profani del suo capo pro tempore (“che Dio l’abbia in gloria”, anche se è ancora vivente!), dal quale il personaggio è poi fuggito al momento della sua bassa fortuna politica.
Fu per questo che Claudio si dimise ed eliminate le incombenze burocratiche, iniziò la carriera di storico (dell’arte e della musica) a tempo pieno, producendo subito dopo opere fondamentali come i due volumi “I Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti” (con Alessandro Zuccari, nel 2010); “Bronzino” (sempre nel 2010); “Il mestiere dell’artista dal Caravaggio al Baciccio” (2011); “Il mestiere dell’artista dal Trecento al Seicento” (2014).
Contemporaneamente, Claudio ha svolto un’altra meritoria attività: quella della divulgazione, conducendo trasmissioni televisive (cito al riguardo “Divini devoti”, dieci puntate, RAI 5, 2014), collaborando a giornali e riviste sia sul tema della storia dell’arte sia su quello musicale.
L’area dei suoi interessi, in entrambi i campi, è vastissima: nel primo, va dal Rinascimento al Contemporaneo, ove si è occupato anche di artisti minori ma significativi; nel secondo, va dalla musica barocca a quella contemporanea, compreso il jazz.
Ne sono testimonianza le mostre fondamentali che egli organizzò come Soprintendente di Roma: prima fra tutte, per il magistrale catalogo che l’accompagna, quella dedicata a Sebastiano del Piombo. E poi quelle sul Quattrocento a Roma, su Caravaggio e caravaggeschi, Raffaello, Tiziano, Tiepolo.
Per tornare al campo della musica, mi rammento di una bellissima discussione che ebbi con lui a proposito del “Concerto di Colonia” di Keith Jarrett: una straordinaria composizione che il pianista improvvisò al pianoforte nel 1975, con una stupefacente ed articolata struttura musicale.
Se ne parlò a lungo, anzi essa è entrata nella leggenda, al punto che si è pensato che il musicista avesse avuto l’estro per improvvisare una musica così complessa sotto l’influsso di droghe.
Claudio ne conosceva i vari passaggi, anche sul piano strettamente semantico e me li illustrò con straordinaria lucidità: come dimenticarlo?
Come non potrò mai dimenticare gli apporti che egli mi ha generosamente dato nella mia ricerca di collezionista bulimico: attribuzioni (a volte) anche ardite. Ne ricordo una al quasi sconosciuto artista Giovanni Battista Brughi, peraltro acuta e fulminante, inquadramenti iconografici od iconologici, spunti di storia sociale.
Dunque, contributi a tutto tondo.
Claudio ha da poco compiuto settant’anni (lo scorso 17 settembre): ha dunque davanti a sé un lungo spazio temporale nel quale proseguire nel suo quotidiano contributo alla storia dell’arte ed alla storia della musica.
Gli lancerei un’idea: due manuali, nell’una e nell’altra disciplina, ad uso della “cupida juventus”, oggi costretta a testi ormai consunti dal tempo.
Quale modo migliore di concludere in bellezza una carriera così luminosa?
Auguri affettuosi, Claudio eancora una volta “ad majora”!
FL/Articoli/Il Giornale dell’Arte – dicembre 2018