La fattispecie penale delle false comunicazioni sociali è stata oggetto, nel corso dell’ultimo decennio, di profonde modifiche legislative – dapprima con il d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61 e da ultimo con la L. 27 maggio 2015, n. 69 – e di accesi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, culminati con la recentissima decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ud. 31.3.2016).
Il massimo consesso della Suprema Corte è stato chiamato a rispondere, con ordinanza del 2-4 marzo 2016 della Quinta Sezione Penale, al seguente quesito: “se la modifica dell’art. 2621 c.c. per effetto dell’art. 9 L. n. 69/2015 nella parte in cui, disciplinando le “False comunicazioni sociali”, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie”.
I termini delle querelle, dunque, traggono origine dall’espunzione, per mano della riforma attuata dalla L. 69/2015, dal corpo delle norme di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., dell’inciso che esplicitamente includeva (in presenza anche degli ulteriori elementi richiesti) nel novero delle condotte penalmente rilevanti il falso c.d. valutativo o estimativo.
Brevemente, senza voler compiere un’analitica esegesi della nuova disciplina in commento, che esula dai fini della presente trattazione, gli odierni artt. 2621 e 2622 c.c., configurati come delitti di pericolo, puniscono determinati soggetti che, consapevolmente, espongono nel bilancio, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre i terzi in errore.
Le conseguenze di tale, significativa, novella sono state espressamente demandate – con pilatesco approccio da parte del legislatore, che pure si era interrogato sulla portata della modifica – all’intervento della Corte di Cassazione, che, per dirla con le parole del relatore in sede di lavori preparatori, “dovrà valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all’interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti”.
E così, a distanza di neppure un anno dall’entrata in vigore delle disposizioni in commento, la questione dibattuta è giunta, in tempi record, alle Sezioni Unite Penali, a fronte di un contrasto interno alla Quinta Sezione.
Un primo orientamento, che possiamo definire restrittivo, ha trovato voce con le sentenze Cass. Pen. 33774/2015 e Cass. Pen. 6916/2016, secondo le quali la recente riforma avrebbe ristretto la portata incriminatrice dei reati di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., determinando, conseguentemente, l’irrilevanza penale del falso estimativo.
Il ragionamento alla base di questa tesi fa leva sul dato testuale delle disposizioni de quibus e sul loro confronto con la previgente formulazione degli articoli citati, entrambi “elementi indicativi della volontà legislativa di far venir meno la punibilità dei falsi valutativi” e di ritenere inclusi, per contro, nell’area del penalmente rilevante i soli “fatti materiali”, ossia le “appostazioni contabili che attingono fatti economici materiali”.
L’argomento letterale, secondo l’interpretazione in parola, troverebbe conferma nella circostanza che la formulazione dell’art. 2638 c.c., che disciplina il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, è rimasta invariata (ivi incluso l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”) e ciò, applicando un ragionamento a contrario, costituirebbe un chiaro indice della precisa scelta da parte del legislatore di operare una parziale abolitio criminis del reato di false comunicazioni sociali, in linea con il canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
Di altro avviso è la pluricommentata sentenza n. 890/2016, che, premettendo l’importanza di associare all’interpretazione strettamente letterale una lettura logico-sistematica e teleologica, con uno sguardo, dunque, al principio di trasparenza dell’informazione societaria che permea l’attuale disciplina delle false comunicazioni sociali, giunge a una soluzione di segno inverso rispetto a quella adottata dalle sentenze sopra richiamate.
Le argomentazioni che fondano la diversa tesi c.d. “estensiva” sono molteplici e, a parere di chi scrive, convincenti.
In primis, analizzando il dato testuale, la locuzione “ancorché oggetto di valutazioni” è la tipica proposizione “concessiva”, con finalità meramente ancillare e chiarificatrice, certamente non additiva, con l’ovvia conseguenza che la sua soppressione non può assumere alcuna decisiva rilevanza.
L’ininfluenza della riformulazione normativa è ulteriormente avvalorata dalla lettura logico-sistematica, che impone di interpretare i singoli lemmi che compongono la disposizione di legge – ed, in particolare, i termini “fatto”, “materiale” e “rilevante” – in un’accezione non comune, bensì tecnica, in quanto mera trasposizione letterale di formule lessicali proprie delle scienze economiche aglo-americane e della legislazione comunitaria. In questa prospettiva, il “fatto materiale rilevante” è sinonimo di dato informativo della realtà che le comunicazioni sociali sono destinate a esporre ai terzi secondo il principio di corretta informazione.
In secundis, affrontando lo specifico tema del falso – e prendendo le mosse dalla necessaria precisazione che un fatto non può mai essere falso (si può, invece, correttamente parlare di esistenza o inesistenza), ma solo la rappresentazione che ne viene data potrà essere vera o falsa – qualora la rappresentazione di un fatto oggetto di valutazione intervenga in contesti che implicano l’accettazione di criteri predeterminati dalla legge o da prassi universalmente accettate funzionali alla corretta informazione, l’elusione di quei parametri, come anche l’applicazione di metodiche diverse, costituisce falsità nel senso di discordanza dal “vero legale”.
Questo argomento è tanto più valido se si considera che il bilancio è composto, per la stragrande maggioranza, di enunciati valutativi o estimativi, che, anche per ragioni di ragionevolezza, devono continuare ad essere sanzionati, ai sensi del novellato art. 2621 c.c., se falsi, nel senso anzidetto.
Il contrasto giurisprudenziale maturato a seguito della riforma del 2015 è stato risolto dalle Sezioni Unite Penali della Suprema Corte, che, nella seduta del 31.3.2016, in accordo con la tesi estensiva, hanno ritenuto tuttora penalmente rilevante il c.d. falso valutativo.
Con un’informazione provvisoria, è stata diffuso il principio di diritto applicato, secondo cui «sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione” se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l‘agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni».
In attesa del deposito delle motivazioni, la presa di posizione delle Sezioni Unite va, senza dubbio, accolta positivamente, non solo per ragioni di certezza del diritto in sé e per sé, ma anche per l’affermazione di quei principi di ragionevolezza e di logicità sistematica necessari in ogni ordinamento, affinché questo risulti coerente e, in ultima analisi, “giusto”.
Avv. Francesca Matiz
[:en]La fattispecie penale delle false comunicazioni sociali è stata oggetto, nel corso dell’ultimo decennio, di profonde modifiche legislative – dapprima con il d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61 e da ultimo con la L. 27 maggio 2015, n. 69 – e di accesi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, culminati con la recentissima decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ud. 31.3.2016).
Il massimo consesso della Suprema Corte è stato chiamato a rispondere, con ordinanza del 2-4 marzo 2016 della Quinta Sezione Penale, al seguente quesito: “se la modifica dell’art. 2621 c.c. per effetto dell’art. 9 L. n. 69/2015 nella parte in cui, disciplinando le “False comunicazioni sociali”, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie”.
I termini delle querelle, dunque, traggono origine dall’espunzione, per mano della riforma attuata dalla L. 69/2015, dal corpo delle norme di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., dell’inciso che esplicitamente includeva (in presenza anche degli ulteriori elementi richiesti) nel novero delle condotte penalmente rilevanti il falso c.d. valutativo o estimativo.
Brevemente, senza voler compiere un’analitica esegesi della nuova disciplina in commento, che esula dai fini della presente trattazione, gli odierni artt. 2621 e 2622 c.c., configurati come delitti di pericolo, puniscono determinati soggetti che, consapevolmente, espongono nel bilancio, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre i terzi in errore.
Le conseguenze di tale, significativa, novella sono state espressamente demandate – con pilatesco approccio da parte del legislatore, che pure si era interrogato sulla portata della modifica – all’intervento della Corte di Cassazione, che, per dirla con le parole del relatore in sede di lavori preparatori, “dovrà valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all’interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti”.
E così, a distanza di neppure un anno dall’entrata in vigore delle disposizioni in commento, la questione dibattuta è giunta, in tempi record, alle Sezioni Unite Penali, a fronte di un contrasto interno alla Quinta Sezione.
Un primo orientamento, che possiamo definire restrittivo, ha trovato voce con le sentenze Cass. Pen. 33774/2015 e Cass. Pen. 6916/2016, secondo le quali la recente riforma avrebbe ristretto la portata incriminatrice dei reati di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., determinando, conseguentemente, l’irrilevanza penale del falso estimativo.
Il ragionamento alla base di questa tesi fa leva sul dato testuale delle disposizioni de quibus e sul loro confronto con la previgente formulazione degli articoli citati, entrambi “elementi indicativi della volontà legislativa di far venir meno la punibilità dei falsi valutativi” e di ritenere inclusi, per contro, nell’area del penalmente rilevante i soli “fatti materiali”, ossia le “appostazioni contabili che attingono fatti economici materiali”.
L’argomento letterale, secondo l’interpretazione in parola, troverebbe conferma nella circostanza che la formulazione dell’art. 2638 c.c., che disciplina il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, è rimasta invariata (ivi incluso l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”) e ciò, applicando un ragionamento a contrario, costituirebbe un chiaro indice della precisa scelta da parte del legislatore di operare una parziale abolitio criminis del reato di false comunicazioni sociali, in linea con il canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
Di altro avviso è la pluricommentata sentenza n. 890/2016, che, premettendo l’importanza di associare all’interpretazione strettamente letterale una lettura logico-sistematica e teleologica, con uno sguardo, dunque, al principio di trasparenza dell’informazione societaria che permea l’attuale disciplina delle false comunicazioni sociali, giunge a una soluzione di segno inverso rispetto a quella adottata dalle sentenze sopra richiamate.
Le argomentazioni che fondano la diversa tesi c.d. “estensiva” sono molteplici e, a parere di chi scrive, convincenti.
In primis, analizzando il dato testuale, la locuzione “ancorché oggetto di valutazioni” è la tipica proposizione “concessiva”, con finalità meramente ancillare e chiarificatrice, certamente non additiva, con l’ovvia conseguenza che la sua soppressione non può assumere alcuna decisiva rilevanza.
L’ininfluenza della riformulazione normativa è ulteriormente avvalorata dalla lettura logico-sistematica, che impone di interpretare i singoli lemmi che compongono la disposizione di legge – ed, in particolare, i termini “fatto”, “materiale” e “rilevante” – in un’accezione non comune, bensì tecnica, in quanto mera trasposizione letterale di formule lessicali proprie delle scienze economiche aglo-americane e della legislazione comunitaria. In questa prospettiva, il “fatto materiale rilevante” è sinonimo di dato informativo della realtà che le comunicazioni sociali sono destinate a esporre ai terzi secondo il principio di corretta informazione.
In secundis, affrontando lo specifico tema del falso – e prendendo le mosse dalla necessaria precisazione che un fatto non può mai essere falso (si può, invece, correttamente parlare di esistenza o inesistenza), ma solo la rappresentazione che ne viene data potrà essere vera o falsa – qualora la rappresentazione di un fatto oggetto di valutazione intervenga in contesti che implicano l’accettazione di criteri predeterminati dalla legge o da prassi universalmente accettate funzionali alla corretta informazione, l’elusione di quei parametri, come anche l’applicazione di metodiche diverse, costituisce falsità nel senso di discordanza dal “vero legale”.
Questo argomento è tanto più valido se si considera che il bilancio è composto, per la stragrande maggioranza, di enunciati valutativi o estimativi, che, anche per ragioni di ragionevolezza, devono continuare ad essere sanzionati, ai sensi del novellato art. 2621 c.c., se falsi, nel senso anzidetto.
Il contrasto giurisprudenziale maturato a seguito della riforma del 2015 è stato risolto dalle Sezioni Unite Penali della Suprema Corte, che, nella seduta del 31.3.2016, in accordo con la tesi estensiva, hanno ritenuto tuttora penalmente rilevante il c.d. falso valutativo.
Con un’informazione provvisoria, è stata diffuso il principio di diritto applicato, secondo cui «sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione” se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l‘agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni».
In attesa del deposito delle motivazioni, la presa di posizione delle Sezioni Unite va, senza dubbio, accolta positivamente, non solo per ragioni di certezza del diritto in sé e per sé, ma anche per l’affermazione di quei principi di ragionevolezza e di logicità sistematica necessari in ogni ordinamento, affinché questo risulti coerente e, in ultima analisi, “giusto”.
Avv. Francesca Matiz